Il bambino fissa un peluche e protrae le sue mani verso di esso. Il genitore osserva il comportamento del bambino e pensa “mio figlio vorrebbe prendere quel peluche per giocarci”. Ecco, questa è la mentalizzazione, un’operazione con la quale si tiene a mente la mente dell’altro (e propria).
La mentalizzazione può essere definita come la capacità di leggere la mente propria e degli altri, cioè di attribuire a sé e agli altri stati mentali (credenze, desideri, emozioni e intenzioni) congrui e usare tali attribuzioni per prevedere i comportamenti altrui e rispondergli in modo adeguato. La mentalizzazione è alla base di concetti come assertività, fiducia, consapevolezza e resilienza, ma proseguiamo per gradi.
«Mamma, dimmi come mi sento»
Il titolo di questo articolo è emblematico. Se un neonato potesse chiedere qualcosa al suo caregiver per assicurarsi una crescita sana e funzionale, pronuncerebbe queste parole.
Il genitore ha un grande potere ed è determinante nello sviluppo della personalità e dell’identità del bambino. Un genitore consapevole può fare davvero la differenza. La mentalizzazione è fondamentale per consentire al bambino di costruire un Sé coeso, coerente e Autentico, ben lontano dal falso sé basato sulle attribuzioni genitoriali.
Mamma, dimmi come mi sento. Non è necessario che il genitore verbalizzi una risposta a questa domanda. Certo, un sostegno verbale può essere utile per allenare linguisticamente il bambino… ma la vera risposta del genitore arriva con i suoi atteggiamenti, il suo modo di porsi. I bambini sono degli ottimi osservatori: coglieranno la risposta osservando la mimica facciale, la postura e il comportamento di rimando del genitore.
“Facciamo esperienza di noi secondo quanto ci viene rimandato attraverso gli occhi e le menti di chi ci circonda. Il senso di sé di una persona, dunque, nasce dall’esperienza di essere nella mente degli altri, esperienza senza la quale esso semplicemente non si sviluppa” – G. Music
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