Il significato psicologico dell’Epifania

Il termine deriva dal greco ἐπιφαίνω, epifàino verbo che significa “mi rendo manifesto” e dal sostantivo femminile ἐπιφάνεια,epifàneia “ manifestazione, apparizione, venuta”. Il Cristo “si manifesta” ai Re Magi, ma in effetti il bambino Gesù non fa nulla di particolare, non abbiamo miracoli in questa circostanza che possano testimoniare la sua natura divina. Solo la stella cometa che guida il cammino, come la stella che ha condotto i pastori nella notte di Natale. Allora in cosa si differenzia questa apparizione da quella avvenuta con i pastori? La particolarità, l’elemento originale è dato proprio dai Re Magi, non maghi, ma nobili eruditi, colti nell’intelletto e nello spirito, persone elevate a loro volta “manifestati”e riconosciuti come Re. L’epifania rappresenta la nascita psicologica che non può avvenire a prescindere dal riconoscimento altrui. La nostra identità, il modo in cui ognuno di noi si pensa, si percepisce, si forma grazie a un processo che si snoda nel tempo con l’integrazione di due fondamentali aspetti: uno interno all’individuo rappresentato dal proprio mondo di percezioni su sé stesso che dà indicazioni sul proprio sé profondo,  l’altro esterno, ma che penetra l’individuo e ne segna il progredire.  E’ il modo in cui gli altri percepiscono la persona e ciò che gli rimandano. Una sorta di rispecchio della propria immagine restituita dalle persone significative. Ecco l’importanza dei Re Magi, l’importanza di essere riconosciuti nella propria essenza.

E’ uno dei quesiti che più spesso ci siamo sentiti rivolgere nell’ambito dei gruppi che gestiamo in Associazione. Un momento da tutti vissuto come carico di tensione e aspettative che vengono poi rivolte a noi professionisti da cui ci si aspetta risposte e formule volte a lenire il dolore del distacco, la paura della separazione, soprattutto quella fantasticata dagli adulti nello sguardo dei bambini o dei ragazzi che li osservano quando comunicheranno loro la decisione di separarsi. Si intuisce che il come e il quando si comunica la decisione contribuisce fortemente al processo di separazione stessa tra i coniugi e segna le possibilità di elaborazione dell’evento per gli adulti come per i figli. Partendo dal presupposto che ogni regola generale dettata dal buon senso può naufragare in casi di forte conflittualità, proviamo invece a “vestire i panni” degli interessati: da una parte i genitori, la coppia che vuole la separazione, dall’altra il figlio. Per gli adulti pensare di comunicare ai figli la decisione è certamente uno dei passi più significativi di tutto il processo. Fino a questo momento i genitori hanno, magari faticosamente, gestito il conflitto all’interno della coppia stessa, per lo più i figli, pur assistendo a litigi o scenate, rimangono spettatori passivi di quanto accade, essi subiscono il clima di disaccordo rimanendo però marginali, vivendo solo le ripercussioni, magari pesanti della situazione di sofferenza e incomprensione tra i genitori. A seconda dell’età, più sono piccoli più questo è valido, i bambini non hanno consapevolezza delle dinamiche e dei motivi profondi che sottostanno al conflitto, anche per questo non si pongono il problema di dover dare colpe o ragioni, non hanno il bisogno di schierarsi o di prendere posizione. Avvertono però il disagio di vivere in una situazione di tensione e soffrono per le persone che amano se le vedono soffrire. A volte i bambini possono arrivare a pensare che il motivo della discordia dipenda da loro. Tale sentimento può nascere casualmente anche solo perchè notano gli adulti meno affettuosi o pazienti nei loro confronti. E’ uno dei problemi che la coppia in crisi si trova ad affrontare ed è un momento delicato in quanto rappresenta spesso il primo atto reale di separazione effettiva. Nella consapevolezza che una separazione rappresenta anche per un bambino un cambiamento radicale che coinvolge diversi piani della sua vita, non possiamo trascurare il modo di comunicare la scelta fatta. Non esistono regole prestabilite o certe, se non un cercare di calarsi nella realtà emotiva di ogni figlio e costruire un dialogo che tenga presente il più possibile la sua emotività e la sua esperienza affettiva in famiglia. Ciò nonostante possono essere tenuti presenti alcuni fattori che si evincono dalle esperienze cliniche e aiutano ad orientarci. Il linguaggio e il contenuto devono essere misurati all’età e ha senso rendere partecipi i figli del percorso di elaborazione che mamma e papà hanno fatto per arrivare a maturare quella scelta. In sostanza è utile trasmettere che si è arrivati a questa decisione come la migliore per il benessere di tutti. E’ importante rendere partecipi i figli solo quando si è certi della strada da intraprendere in modo da non dare adito ad insicurezze sul proprio futuro o, addirittura, a fantasie di illusorie soluzioni della crisi. Molti bambini o ragazzi, di fronte all’incertezza dei genitori coltivano la speranza di una riconciliazione e si comportano nel tentativo di guidare i genitori alla riconciliazione, per poi vivere profondi sensi di colpa e fallimento quando verificano di non riuscirci. Comunicare la separazione ai figli significa averla scelta. Quando la conflittualità della coppia è manifesta, i bambini vivono e percepiscono il malessere pur non sapendo spiegarlo, non ne conoscono le cause, ma lo respirano e lo subiscono senza riuscire a darsi una spiegazione di quanto accade. Per questo, a volte, la decisione di una coppia di separarsi può rappresentare anche l’occasione per il bambino di capire meglio ciò che sta accadendo intorno a lui, sentire che non è sua la responsabilità. Sapere della separazione può significare per un figlio darsi delle spiegazioni e verificare che i genitori sono in grado di affrontare anche situazioni dolorose. In un certo modo questo può rassicurare il bambino che confida nella capacità degli adulti di risolvere il conflitto.

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