Ti ritrovi spesso ad amare persone che ti riportano indietro all’infanzia?

L’innamoramento spesso riflette le prime esperienze di accudimento infantile, portando a scegliere partner che rievocano i modelli di amore vissuti da bambini. Questo meccanismo, guidato dall’inconscio e dal cervello, cerca familiarità anche quando non è salutare, ripetendo dinamiche passate. La consapevolezza di queste dinamiche permette di interrompere la ripetizione e scegliere relazioni più sane e autentiche.

Ti sei mai chiesto perché, nonostante le buone intenzioni, ti ritrovi spesso ad amare persone che ti riportano indietro all’infanzia? Magari il partner che hai scelto ha la stessa dolcezza silenziosa di tua madre, o la stessa durezza del carattere di tuo padre. A volte è una somiglianza fisica, altre volte un tono di voce, un modo di muovere le mani, un atteggiamento che non sapresti descrivere con precisione… ma che “ti fa sentire a casa”.

Eppure, quella casa emotiva non sempre è stata accogliente. Molti di noi si innamorano proprio di persone che rievocano le ferite non guarite dell’infanzia. Questo non accade perché siamo masochisti o perché non sappiamo scegliere meglio: accade perché il nostro inconscio, e persino il nostro cervello, cercano la familiarità, anche quando non è sinonimo di felicità.

In questo articolo ti guiderò dentro una delle dinamiche più potenti e inconsapevoli che guidano le relazioni affettive: il legame invisibile tra amore adulto e memoria infantile.

L’amore come ritorno alle origini

Ogni innamoramento ha qualcosa di ancestrale. Non ci innamoriamo solo con gli occhi, con i pensieri o con l’attrazione fisica: ci innamoriamo con il corpo intero, con la memoria implicita e con il nostro sistema nervoso.

Le prime esperienze di accudimento — il modo in cui siamo stati presi in braccio, consolati, nutriti, guardati — hanno scolpito dentro di noi la matrice di ciò che percepiamo come “amore”. Quella matrice diventa un modello interno: senza accorgercene, cerchiamo partner che ci fanno rivivere quelle stesse sensazioni.

Se un bambino è cresciuto con una madre affettuosa e rassicurante, da adulto si sentirà spontaneamente attratto da persone che emanano calore e stabilità.
Se invece l’amore era condizionato, intermittente o intriso di freddezza, sarà proprio quella discontinuità a diventare “normale”, quindi rassicurante per il cervello, anche se dolorosa.

L’inconscio che guida le scelte d’amore

Freud parlava di “coazione a ripetere”: il bisogno inconscio di rivivere dinamiche antiche, anche se dolorose, per cercare inconsciamente di riscrivere la fine della storia. È come se l’adulto dentro di noi sperasse di poter ottenere, dal partner, ciò che non è mai riuscito a ottenere dal genitore.

Se da bambino ti sei sentito invisibile, potresti attrarti da persone sfuggenti o distanti, con la speranza inconscia di “farti vedere”.
Se da piccolo avevi un genitore ipercritico, potresti legarti a partner che giudicano, nel tentativo di dimostrare finalmente che sei degno d’amore. Ma la verità è che, in questo meccanismo, resti intrappolato: non riscrivi la fine, ripeti l’inizio.

La familiarità che inganna il cervello

Dal punto di vista neuroscientifico, questo fenomeno ha una spiegazione chiara. Il cervello ama la familiarità.

L’ippocampo e l’amigdala, due strutture chiave del sistema limbico, collaborano per registrare le esperienze precoci e associare emozioni agli stimoli. Una voce dura, un sorriso protettivo, un modo di prendersi cura… diventano codici emotivi che il cervello riconosce come “noti”.

E quando incontriamo una persona nuova che li richiama, il nostro sistema nervoso entra in risonanza. L’ossitocina, la dopamina e la serotonina collaborano a farci provare attrazione e attaccamento. Non perché quella persona sia davvero giusta per noi, ma perché “somiglia” a qualcosa che il cervello conosce già. È per questo che a volte diciamo: “Non so perché, ma mi sembra di conoscerlo da sempre”.

Il paradosso: sicurezza o ripetizione della ferita?

C’è un paradosso profondo: quello che ci attrae può essere proprio ciò che ci fa soffrire. Il nostro cervello non distingue sempre tra ciò che è familiare e ciò che è sicuro. Se l’infanzia è stata segnata da trascuratezza o freddezza, quella diventa la normalità registrata a livello nervoso. Così, da adulti, potremmo scambiare l’assenza di calore per un “amore intenso”, perché l’amigdala riconosce quella sensazione come “casa”.

Questo spiega perché molte persone cadono ripetutamente in relazioni tossiche o insoddisfacenti. Non scelgono consapevolmente la sofferenza: scelgono la familiarità.

Il linguaggio invisibile delle emozioni

Quando ci innamoriamo, non scegliamo solo in base a caratteristiche esterne. Ci innamoriamo di come l’altro ci fa sentire. E quelle sensazioni sono già scritte nel nostro corpo.

Un gesto di cura, uno sguardo di approvazione, una forma di silenzio: tutto questo richiama memorie antiche, che non passano dalla coscienza. È il linguaggio invisibile delle emozioni, quello che ci lega più di ogni logica. Ecco perché a volte, razionalmente, sappiamo che una persona non è adatta a noi… ma emotivamente non riusciamo a lasciarla andare.

Quando l’infanzia diventa un copione

La psicoanalisi ci ha insegnato che l’infanzia non è un capitolo chiuso, ma un copione che continua a scriversi attraverso le relazioni adulte.

  • Se hai vissuto un amore materno condizionato, potresti cercare partner che ti danno amore solo a certe condizioni.
  • Se sei cresciuto con un padre anaffettivo, potresti trovarti bene accanto a partner freddi, perché quella distanza ti sembra “normale”.
  • Se hai vissuto instabilità, potresti trovare eccitante l’imprevedibilità, confondendola con passione.

Il problema è che, così facendo, ripeti la storia invece di trasformarla.

La trappola della riparazione impossibile

Il cuore spera di guarire rivivendo la ferita: “Se questa volta riuscirò a farmi amare da qualcuno simile a mio padre/madre, allora finalmente sarò degno di amore”. Ma è una trappola. Nessun partner può riscrivere ciò che è accaduto allora. Il rischio è di restare incastrati in legami che logorano, mentre dentro di noi cresce il senso di inadeguatezza. La guarigione non arriva dal partner, ma dal riconoscere la ferita originaria e darle finalmente un nome.

Rompere il cerchio: consapevolezza e scelta

La buona notizia è che questo copione non è irreversibile.
Quando diventi consapevole del legame tra le tue attrazioni e la tua infanzia, puoi interrompere la ripetizione.

  1. Il primo passo è osservare: “Questa attrazione mi ricorda qualcosa? Mi fa sentire come mi sentivo da bambino? È davvero amore o è un richiamo della mia ferita?”
  2. Il secondo passo è imparare a distinguere la familiarità dalla sicurezza. Ciò che ti sembra “casa” non sempre è ciò che ti nutre davvero.

Infine, si tratta di scegliere con coraggio: non la persona che ti fa rivivere la vecchia ferita, ma quella che ti fa sentire finalmente libero, visto, accolto.

Il ruolo del sistema nervoso nella guarigione

La psicologia incontra la biologia: non basta capire con la mente, bisogna “rieducare” il corpo. Ogni volta che ti concedi esperienze di amore autentico, il tuo sistema nervoso registra nuove tracce. L’ossitocina rilasciata da un abbraccio sincero, la calma del respiro condiviso, la sicurezza di una presenza stabile: tutto questo modifica la memoria implicita. È così che si costruisce una nuova idea di amore. Non più legata alla ferita, ma alla guarigione.

Un amore che nasce da te

Alla fine, il vero punto è questo: non possiamo cambiare la famiglia in cui siamo cresciuti, ma possiamo cambiare il modo in cui ci amiamo oggi. Quando impari a dare a te stesso quello che non hai ricevuto — ascolto, rispetto, accoglienza — inizi ad attrarre anche partner diversi. Persone capaci di amare senza condizioni, senza giochi di potere, senza richiami alla vecchia sofferenza.

L’amore smette di essere un tentativo disperato di riparare il passato, e diventa una scelta libera nel presente.
se vuoi cambiare la storia, parti da te

Fonte https://psicoadvisor.com/perche-ci-innamoriamo-di-chi-ci-ricorda-i-nostri-genitori-anche-senza-accorgercene-46718.html

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